dott. Marco Cesare Giussani
Pediatra di famiglia
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Autosvezzamento ?

Data ultima modifica: 6/9/2013
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meglio di no.

 

Da qualche tempo si sta diffondendo anche nel nostro Paese la pratica del cosiddetto autosvezzamento. Si tratta di mettere precocemente a tavola il bambino con i genitori e proporgli i cibi degli adulti, opportunamente sminuzzati, già a partire dai 4-6 mesi di età (prima di allora c’è unanime accordo che l’alimentazione deve essere esclusivamente lattea, possibilmente con il latte della mamma). Il presupposto è che il lattante sarebbe già capace di autoregolarsi sia dal punto di vista della quantità che della qualità del cibo e che, se i genitori sono abbastanza attenti, è in grado di far capire quali sono le scelte alimentari per lui più corrette. Certamente questa pratica ha degli aspetti positivi: da un lato stimola i genitori a osservare e a cercare di interpretare le reazioni del proprio bambino, dall’altro rende più piacevole e più facile, quasi fosse un gioco, l’introduzione di alimenti nuovi.

Tuttavia … fermiamoci un attimo e consideriamo un altro punto di vista.

Fin dai tempi di Ippocrate una alimentazione corretta (magari corretta per le conoscenze di allora) veniva considerata un presupposto irrinunciabile per mantenere o riacquisire la buona salute. Con la scoperta del DNA per un certo periodo è sembrato, invece, che tutto, salute e malattia, fosse scritto sulla doppia elica di questo acido nucleico. Recentemente si è modificato questo punto di vista introducendo il concetto di epigenetica, cioè di come l’ambiente (l’alimentazione è una parte importante dell’ambiente) influenza l’espressione (o la mancata espressione) di determinati geni. Quindi, fatte salve le specifiche individualità di ciascuno, una corretta alimentazione potrebbe favorire l’espressione di geni con effetti metabolici positivi, mentre gli errori alimentari possono avere conseguenze opposte. In parole semplici sul DNA ci sarebbe scritto tutto ma non è detto che tutto debba essere letto. Corretti stili di vita e di alimentazione possono “risvegliare” i geni “buoni” e lasciare “dormienti” quelli “cattivi”. Questo sarebbe vero per tutta la vita, ma lo è ancora di più in alcuni periodi temporali particolarmente sensibili. Oltre alla vita intrauterina (quindi importantissima l’alimentazione durante la gravidanza!) si considerano critici i primi mille giorni di vita.  In pratica nei primi tre anni si potrebbe decidere il destino metabolico di una persona per un periodo di tempo molto lungo, forse per tutta la vita.

Alla luce di quanto detto siamo proprio sicuri che le scelte alimentari di un periodo così delicato possono essere lasciate alla interpretazione dei gusti del bambino? E ancora, l’obiettivo dello svezzamento è di introdurre senza sforzo i nuovi alimenti o di cercare di assicurare uno stato di salute a lungo termine, magari attraverso delle scelte  alimentari meno facili ma più corrette?

Facciamo qualche esempio. Il bambino che mangia il cibo dei genitori, per quanto questi possano cercare adattare la loro alimentazione a degli standard salutistici, facilmente andrà incontro a quelli che sono gli errori alimentari più frequenti e diffusi nella popolazione adulta. Tra questi possiamo annoverare: un eccessivo consumo di proteine e un altrettanto eccessivo uso di sale. È dimostrato che troppe proteine nei primi mesi di vita si associano a un precoce sviluppo di sovrappeso e obesità (non è un caso che il latte di donna ne contenga una quota veramente bassa), mentre l’eccesso di sale ha una ricaduta negativa sulla pressione arteriosa (nel primo anno di vita il sale non dovrebbe essere aggiunto e si dovrebbero preferire cibi con basso contenuto di sale).

Ma un bambino non è comunque capace di autoregolarsi? In fondo anche i pediatri si sono convinti che, rispetto a orari e prescrizioni rigide, è preferibile l’allattamento a “richiesta”? Non potrebbe essere la stessa cosa per lo svezzamento, magari richiedendo ai genitori una particolare attenzione alla loro dieta?

Un conto è l’allattamento al seno e un altro è l’introduzione di alimenti nuovi. Nel primo caso la nostra specie (e i suoi progenitori) ha nutrito da sempre i suoi cuccioli con il latte di donna, sviluppando dei meccanismi guidati dall’istinto tra mamma e bambino, per cui risulta naturale ed efficace una corretta regolazione dei tempi e delle quantità. Anche la scelta di alimenti diversi dal latte può essere modulata e guidata dall’istinto, ma in questo caso i risultati potrebbero non essere i più opportuni dato che questi meccanismi si sono sviluppati per essere funzionali in un ambiente che non è più quello in cui oggi viviamo. La specie Homo Sapiens (cioè noi) è comparsa sulla terra circa 200.000 anni fa, ha cominciato i primi timidi tentativi di agricoltura e pastorizia circa 9.500 anni fa e solo negli ultimi 50 anni una parte dell’umanità ha un accesso pressoché infinito al cibo. Se equiparassimo 200.000 anni a 24 ore, l’agricoltura sarebbe stata inventata da 1 ora e 8 minuti, mentre lo stile di vita che conosciamo da circa 22 secondi. È quindi più probabile che quanto ci suggerisce l’istinto sia più adatto all’ambiente dei nostri progenitori cacciatori e raccoglitori che al nostro di frequentatori di supermercati. Anche in questo caso facciamo un paio di esempi. I sapori acido e amaro sono sgraditi in modo innato ai bambini più piccoli. Nel periodo paleolitico e neolitico questo poteva essere utile per farli stare lontani da bacche e altre sostanze velenose che, in generale sono particolarmente amare, oppure da sostanze in decomposizione che sviluppano un sapore acido. Attualmente è controproducente in quanto amaro e acido sono sapori presenti nella frutta e nella verdura che invece sono molto utili per l’organismo. Quindi l’accettazione dei sapori amaro e acido, propri della verdura, non viene spontanea ai bambini ma deve essere insegnata, a volte con molta pazienza. Al contrario i sapori dolce e salato (rari nell’ambiente degli uomini primitivi) sono naturalmente graditi anche ai bambini piccoli, quindi non c’è bisogno di “insegnarli”. Sappiamo però che una alimentazione corretta prevede un uso limitato di zuccheri semplici e sale.

Per concludere, mentre il latte della mamma non solo soddisfa tutti i fabbisogni nutrizionali fino al 6° mese ma si pone anche in una corretta interazione con il bambino che istintivamente potrà regolarsi in frequenza e quantità (magari trovando con la mamma una corretta negoziazione dei tempi e dei modi), questo non può essere altrettanto vero quando si introducono alimenti diversi dal latte. Allora è necessario che il pediatra sia in grado di consigliare quello che suggeriscono le più recenti conoscenze nutrizionali. Queste conoscenze progrediscono nel tempo, per cui anche i consigli nutrizionali del pediatra dovranno essere aggiornati e le mamme non si dovrebbero stupire di trovare qualche piccola differenza tra quanto veniva consigliato magari per il primo figlio e quanto viene suggerito per il secondo.


 


 


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